“L’Altro Mondo”: la mia esperienza come volontaria Vides in India

“L’Altro Mondo”: la mia esperienza come volontaria Vides in India

Il desiderio di un’esperienza di volontariato al di fuori dei confini italiani è nato in me qualche anno fa. Dapprima leggevo con ammirazione le storie di altre persone che erano partite, ma non mi consideravo capace di una tale “impresa”. A volte mi davo solo delle scuse “vorrei tanto, ma….”, probabilmente non ci credevo fino in fondo. Col tempo questo desiderio si è fatto sempre più forte fino a diventare una convinzione: “partirò anch’io!”. Una volta raggiunta questa consapevolezza, però, ho cominciato ad interrogarmi in merito al come, dove, quando.

Dopo aver brancolato nel buio per un periodo, ho finalmente visto la luce; ho iniziato ad insegnare italiano agli stranieri presso l’associazione Vides Veneto come volontaria esattamente un anno fa, e ho partecipato ad un incontro organizzato dalla medesima associazione in tema di volontariato internazionale. Ho scoperto così che il Vides ha una dimensione non solo locale ma anche internazionale, con missioni in tutto il mondo dove da tempo invia volontari.

Durante quel primo incontro ho ascoltato affascinata le testimonianze dei ragazzi che erano partiti e mi sono convinta che dovevo partire anch’io. Ho intrapreso, quindi, il percorso organizzato da Vides Internazionale, che prevede alcuni incontri di formazione in presenza (a Bologna e a Roma) e una formazione a distanza. Il percorso è stato molto positivo e non troppo impegnativo e mi ha permesso di conoscere e fare amicizia con altri ragazzi con il mio stesso desiderio di partire.

Mano a mano che la formazione procedeva, aumentava in me la convinzione di essere sulla strada giusta. Per motivi di lavoro, la mia partenza non poteva che essere ad agosto, bisognava solo decidere la meta. Il mio sogno iniziale era andare in Africa, ma Suor Leonor, la direttrice dell’associazione e responsabile dei volontari in partenza, considerate le mie competenze, la situazione non ottimale in Africa e il periodo in cui sarei partita, mi ha proposto l’India, più precisamente Guwahati, nello stato di Assam.

Inizialmente, questa proposta mi ha spaventata, sognavo di visitare l’India, ma in un futuro più lontano e pensavo di non essere pronta a partire come volontaria per un Paese che consideravo molto complesso. Ho tentennato e riflettuto un po’. Infine, ho deciso di affidarmi a Suor Leonor, dicendo a me stessa che se mi aveva proposto l’India probabilmente mi considerava capace di affrontare quella realtà, così ho preso coraggio e ho dato il mio ok. Sarei partita con Roberta, un’altra volontaria di Milano.

I mesi immediatamente precedenti la partenza sono stati dedicati ai preparativi: volo, visto, assicurazione, vaccinazioni e chi più ne ha più ne metta.

A parte la città in cui saremmo atterrate, che era appunto Guwahati, non sapevamo molto altro di ciò che ci aspettava.

Il giorno della partenza è arrivato. Io e Roberta siamo partite da Milano Malpensa con destinazione prima New Delhi e poi Guwahati.

Ad accoglierci all’arrivo, dopo circa 15 ore di viaggio, è stata Suor Mary, la quale ci ha condotte alla casa provinciale di Guwahati dove Suor Elizabeth ci attendeva per darci il benvenuto. Il tragitto dall’aeroporto alla casa provinciale è stato un continuo stupore per la realtà che si manifestava dall’altra parte del finestrino della jeep. Da subito il mio pensiero è stato “questo è un altro mondo”.

L’accoglienza di suor Elizabeth e delle altre suore è stata davvero molto calorosa: abbiamo pranzato e parlato con loro e, dopo pranzo, l’entusiasmo e il desiderio irrefrenabile di scoprire di più di quel mondo nuovo ci travolgevano, così, nonostante la stanchezza del viaggio, io e Roberta siamo uscite per una passeggiata.

Il giorno successivo Suor Elizabeth ci ha comunicato che saremmo state affidate a due missioni diverse: io sarei andata a Kokrajhar, mentre Roberta ad Udalguri. Questa notizia ci ha lasciate un po’ tristi in quanto avevamo già creato un buon feeling tra di noi e speravamo di condividere l’esperienza.

Roberta è partita il giorno dopo, mentre io ho atteso un giorno in più e sono partita con Suor Santina verso Kokrajhar.

Il viaggio in jeep è durato circa 6 ore, interrotte da alcune tappe presso altre missioni, nelle quali altre sorelle ci hanno accolte con gioia e ci hanno dato da mangiare e da bere per rifocillarci dal viaggio.

Durante il tragitto ero incollata al finestrino, catturata dal paesaggio circostante, osservavo le infinite distese di campi di riso, le persone che camminavano o stavano sedute sul ciglio della strada, le mucche e le capre e i bizzarri mezzi di trasporto. Tutto era nuovo per me, tutto era assolutamente affascinante.

Giunta alla missione, una sessantina di bambine e ragazze mi ha dato il benvenuto cantandomi una canzoncina dolcissima. Ero davvero molto emozionata. Ho conosciuto subito le sorelle della missione, compresa la suora superiore, suor Jacinta, una donna tutta d’un pezzo che all’inizio mi intimoriva un po’, ma col tempo ho imparato a conoscerla e mi trasmetteva molta dolcezza e simpatia, nonostante i modi a volte bruschi.

La mia vita in missione è iniziata in modo cauto. Ho cercato di inserirmi senza fare troppo rumore, anche se almeno per i primi giorni rappresentavo l’attrazione della missione: tantissimi occhi dolcissimi mi scrutavano, molte mani cercavano un mio contatto e dei meravigliosi sorrisi mi illuminavano.

La missione era formata da un “ostello” per quasi una settantina di bambine/ragazze dai 5 ai 17 anni circa e da una scuola dal nome “Auxilium English Medium School”, che accoglieva circa 300 studenti dai 3 anni ai 15 anni, sia maschi che femmine, provenienti dai villaggi vicini.

I primi giorni della mia permanenza in missione sono serviti per ambientarmi, la scuola non era ancora riiniziata e quindi le bambine avevano abbastanza tempo libero. Da subito io sono diventata il loro punto di riferimento per il gioco; anche una volta iniziata la scuola, nel poco tempo libero che avevano al pomeriggio, prima di riprendere con lo studio, mi chiedevano di giocare. E così ogni giorno cercavo di inventarmi nuovi giochi per farle divertire, anche se i loro preferiti rimanevano “il fazzoletto” e “i pesci”.

All’inizio della mia permanenza ho vissuto anche un momento molto difficile: in un mercato a soli 5 minuti di macchina dalla missione, un gruppo di militari separatisti ha aperto il fuoco sulla folla uccidendo 14 persone. Si è trattato di un vero e proprio attacco terroristico e durante i giorni successivi si respirava una certa tensione nell’aria. Mi sono spaventata molto quando ho saputo dell’accaduto, anche perché all’inizio non era chiara l’origine dello stesso, e per un attimo ero in dubbio se proseguire la mia esperienza lì oppure no. Inoltre ero preoccupata che la notizia fosse stata trasmessa anche in Italia e, non avendo il telefonino funzionante, non riuscivo a contattare i miei famigliari e amici per far sapere loro che stavo bene. Dopo poco, però, lo spavento è passato e ho deciso di rimanere in missione: sapevo che le suore si sarebbero prese cura di me.

Una volta iniziata la scuola ho cominciato a sentirmi davvero utile poiché sostituivo i docenti assenti e, per mia “fortuna”, quasi ogni giorno c’era qualcuno da sostituire. Ho insegnato in ogni classe, dalla prima, con bambini di 5 anni, alla decima, con ragazzi di 15 anni. Nelle classi più basse insegnavo inglese, mentre in quelle più alte ho parlato molto della cultura, storia, tradizioni d’Italia e d’Europa. Ho insegnato anche qualche parola e frase in italiano ai ragazzi più curiosi!

La mia giornata tipo era piuttosto scandita: la mattina ero a scuola, mentre il pomeriggio giocavo con le bimbe piccole e le aiutavo nei compiti per casa. Già dopo pochi giorni dal mio arrivo hanno iniziato ad affezionarsi a me e da subito ho immaginato quanto poteva essere difficile, alla fine, separarmi da loro.

Durante l’ultima settimana ho deciso, con i ragazzi più grandi, di trattare il tema dei diritti umani, svolgendo anche delle attività a gruppi, affinché potessero interiorizzare al meglio il significato degli stessi. Devo dire che è stata un’esperienza molto arricchente, per loro, ma anche per me.

Ogni giorno che passava mi lasciava dentro qualcosa, mi sentivo in qualche modo più “ricca”. Tuttavia, devo ammettere che non sono mancati i giorni di difficoltà e scoraggiamento. A volte mi sono sentita un po’ sola in quanto avvertivo il bisogno di condividere pensieri e sensazioni con qualcun altro proveniente dal mio “stesso mondo”, così ogni tanto chiamavo Roberta e mi confrontavo con lei.

Ciò nonostante, durante la mia permanenza le suore non mi hanno mai fatto mancare nulla, mi hanno “viziata” molto con il cibo: ho mangiato benissimo e tantissimo, la cucina italiana non mi è mancata affatto! Erano sempre attente ai miei bisogni e hanno fatto davvero di tutto, con estrema naturalezza, per rendere il più piacevole possibile il mio soggiorno.

Qualche volta le suore mi hanno portata a fare delle escursioni. Un giorno con suor Angela siamo andate in visita ad un “Tea Garden” ed è stato davvero molto interessante vedere come viene coltivato e soprattutto raccolto il tè.

Durante un’altra escursione sono stata in visita ad alcune famiglie che vivevano in villaggi poveri nei dintorni di Kokrajhar. E’ stata un’esperienza davvero forte vedere come moltissime persone vivessero ancora in uno stato alquanto primitivo, senza illuminazione e acqua corrente, all’interno di vere e proprie capanne col tetto di paglia e i muri fatti di canne di bambù e terra. Nonostante fossero famiglie povere, tutte ci hanno accolte in modo molto caloroso: ad ogni visita ci offrivano il chai e deliziosi dolcetti.

Uno degli ultimi giorni sono stata nella missione di Dotla, che dista circa un’ora da quella di Kokrajhar. Anche lì le bimbe e le suore mi hanno riservato una bellissima accoglienza, che mi ha resa molto felice.

I giorni sono trascorsi molto velocemente tra lezioni, giochi e gite e senza che me ne accorgessi era arrivato l’ultimo giorno della mia permanenza presso la missione.

A mia insaputa le bambine e le suore avevano organizzato una bellissima festa per darmi l’addio. Le bambine si sono esibite in una serie di balli e canti che mi hanno lasciata senza parole, ma la cosa che più di tutto mi ha riempito il cuore e fatto emozionare è stato il discorso di ringraziamento che mi hanno dedicato, pieno di parole di affetto e amicizia, al termine del quale sono scoppiata in lacrime. Credo che non lo dimenticherò mai. Sentivo di aver fatto così poco da non meritare le loro parole ed ero consapevole di aver ricevuto molto di più di quello che avevo dato.

L’ultima notte trascorsa in missione è stata molto triste. La mattina all’alba, dopo l’ultimo addio (o arrivederci) alle bambine, con suor Jacinta, suor Angela e il mitico autista Genus, siamo partiti con destinazione Guwahati, dove avrei rincontrato Roberta, suor Elizabeth e le altre suore della casa provinciale.

Avevamo così tante cose da raccontarci io e Roberta.

Abbiamo trascorso la notte a Guwahati e il mattino successivo, dopo l’ultimo saluto a suor Elizabeth e alle altre suore, suor Jesse ci ha accompagnate all’aeroporto di buon mattino.

L’ultima tappa del nostro viaggio sarebbe stata Mumbai, dove avevamo deciso di fermarci prima di fare definitivamente ritorno in Italia.

Il rientro in Italia è stato duro, tornare alla vita e ai ritmi pre-partenza non è stato facile, ma il pensiero delle “mie” bimbe e il desiderio di aiutarle anche a distanza, hanno reso tutto più “leggero”.

L’India è stata un’esperienza incredibile che quasi sicuramente ripeterò. Senza dubbio mi ha permesso di superare alcuni dei miei limiti e di conoscere, sebbene in parte, una cultura e un modo di vivere completamente diversi rispetto a quelli occidentali. Mi ha fatto capire che, anche nel mio piccolo, posso fare la differenza aiutando gli altri.

Sarò per sempre grata al Vides per avermi dato questa opportunità.

Marzia Cescon

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